
Non ritrovava più la copia di Soltanto un giornalista, l’autobiografia di Indro Montanelli uscita nel 2003. Forse era rimasta in un’anonima camera d’albergo, forse era infilata in qualche oscuro anfratto delle librerie sparse per la casa. Fatto sta che Marco Aurelio Cerri non ci aveva pensato due volte. Aveva spento il computer per salire sulla Bianchi nera del 1948, dalle gomme sempre sgonfie, e dirigersi alla biblioteca civica del paese natio. Il suo bersaglio era un libro che rileggeva sempre volentieri, un po’ come si fa con gli avvincenti romanzi d’avventura scoperti nell’adolescenza.
Una sorridente bibliotecaria lo aveva orientato verso il settore delle biografie. Una volta entrato nella grande stanza a vetrate, il professore di latino e greco si era imbattuto in un gruppetto di studenti che parlavano fitto fitto. « Che cosa vi porta in questo luogo di perdizione, giovani e avide menti? E per di più in tempo di vacanze estive! » chiese con un affabile atteggiamento inquisitorio.
« Ben trovato, professore. Non sapevamo che fosse già in paese – gli rispose Camillo, il più vispo della combriccola. – Siamo venuti alla ricerca di qualche libro in grado di introdurci nella storia della nostra Lomellina. Se ne fa un gran parlare, ne leggiamo spesso sui quotidiani, ma nessuno, men che meno fra i banchi di scuola, si è mai soffermato sugli eventi accaduti nella nostra terra. Vorremmo colmare questa lacuna ».
Il docente liceale si fermò a riflettere qualche secondo fissando negli occhi quei tre studenti di cui aveva sempre ignorato l’esigenza di scavare fino alle radici dell’orgoglio territoriale. Cerri, lomellino da generazioni ed egli stesso nato nella mesopotamia fra Po, Ticino e Sesia, si era trasferito anni addietro a Pavia dopo che gli era stata assegnata la cattedra di latino e greco al liceo ginnasio “Ugo Foscolo”. Ma non aveva mai smesso di indulgere all’appetito dei canali irrigui che tagliavano a fette un quadrilatero reso piatto per consentire la coltivazione del riso, degli aironi ritornati dopo molti anni di assenza a sorvegliare le risaie, delle cascine che ancora oggi presidiano le campagne con fare maestoso. E quando il portone di ferro del liceo di via Defendente Sacchi si chiudeva per tre mesi, il professore innamorato della classicità, di Marco Tullio Cicerone e di Platone faceva ritorno nella casa paterna.
« Questa vostra necessità, vi sembrerà strano, fa proprio al caso mio – rispose invitandoli ad accomodarsi in un angolo della sala di lettura. – Da tempo nutrivo il desiderio di ripercorrere le vicende più significative della nostra Lomellina, che mi è sempre rimasta nel sangue malgrado la lontananza per motivi professionali. Ripercorrerle, però, nello spirito montanelliano, cioè da semplice divulgatore di storia, non da accademico. Nel 1974, nella prefazione a uno dei suoi volumi della Storia d’Italia, il giornalista metteva nero su bianco: “Io non mi sono messo a scrivere di Storia per ricostruire il passato, ma per cercare nel passato i perché del presente. Sono convinto che non saremmo ciò che siamo, se non fossimo stati ciò che fummo”. Vi potrebbe interessare questa impostazione? ».
I ragazzi annuirono lasciando che parlasse Ettore, sorta di portavoce del gruppo. « Direi proprio di sì – confermò convinto. – Al liceo, durante l’ora di Storia, abbiamo parlato delle “piccole patrie” e abbiamo capito che nell’identità di un territorio si trovano le radici del suo futuro. La globalizzazione pone certamente diverse sfide per le realtà consolidate, ma apre altrettante opportunità per quei territori che sapranno ridefinire le loro identità ».
« Ottimo ragionamento: qui su due piedi posso accennare al territorio come “comunità di destino” – disse il professore. – Secondo il sociologo Max Weber chi vive in un determinato territorio è accomunato ad altri dal poter accedere a certe possibilità di vita, in termini di opportunità di lavoro, di reddito, di consumo, di interazioni sociali. Naturalmente, specialmente nelle società moderne, è possibile muoversi da un territorio all’altro e spesso lo si fa, per scelta o per costrizione. Ma cambiare costa, sia per i singoli sia per le imprese. Converrete con me, però, che dovremmo sederci attorno a un tavolo per approfondire discorsi di tale serietà ».
« Certo, ma a noi interessano molto: a scuola, per una serie di motivi che lei conosce meglio di noi, non c’è mai tempo di analizzare temi come il patrimonio di risorse immateriali e materiali, con i suoi valori culturali e le sue norme, le conoscenze e il saper fare – replicò Ettore. – Magari se lei avesse qualche ora da dedicarci durante queste vacanze estive, potremmo sviscerare contenuti che vedono al centro la Lomellina come soggetto collettivo ».
« Molto bene: potete venire a casa mia ogni giorno, verso metà pomeriggio; vi terrò qualche “lezione”, cui non seguiranno, statene certi, interrogazioni o verifiche – acconsentì Cerri. – Ripasseremo le battaglie combattute sul nostro suolo e, al contempo, lo sviluppo di un territorio omogeneo, ferace e ubertoso, ma purtroppo ambita preda di più di un esercito invasore. Fino alle gloriose giornate risorgimentali, quando si combatté in Lomellina, a Palestro, la prima, decisiva battaglia verso l’indipendenza dallo straniero ».
In un lampo gli si abbozzò nella mente lo schema delle lezioni estive, che avrebbe presumibilmente tenuto sotto la veranda, separata dal giardino prospiciente da un’opportuna zanzariera. In effetti, da mesi il professore anelava a mettere in fila tutti gli eventi bellici che ebbero come teatro il territorio ondulato e quasi collinoso che fu, fino al xviii secolo, la Lomellina. E anche le figure di rilievo che decisero le sorti non solo d’Italia, ma d’Europa. Cerri salutò i ragazzi, suggerendo loro il sempre valido Il nome della rosa di Umberto Eco, e registrò il libro preso a prestito. Poi, prima di rientrare a casa, fece un giro in bicicletta. E i suoi pensieri iniziarono a disperdersi nell’aria: “Sarei curioso di sapere, magari tramite un sondaggio, quanti miei conterranei sanno che in questa plaga incrociarono le armi condottieri immortali come Annibale e Scipione, il futuro Africano, consoli di Roma come Caio Mario, imperatori come il franco Carlo Magno o lo svevo Federico Barbarossa, Desiderio, ultimo re longobardo, e sovrani di Sardegna come Carlo Alberto e Vittorio Emanuele ii, primo re d’Italia. Chi non sarebbe orgoglioso di essere un conterraneo di regine come Teodolinda, di duchi come Ludovico Sforza detto il Moro, che chiamò a operare in Lomellina un genio come Leonardo da Vinci, e di eroi risorgimentali come i fratelli Cairoli? E non dimentichiamo l’audace intervento degli abitanti di Cairo, Pieve del Cairo e Cambiò, che liberarono il cardinal Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e futuro papa Leone x”.
Una volta aperto il cancelletto di casa, il professore si ricordò di aver riprodotto uno scritto di Camillo Benso, conte di Cavour, che fu presente a Mortara per il Comizio agrario del 1846. Il futuro artefice dell’Unità italiana visitò spesso la Lomellina: nell’autunno 1844, per esempio, percorse le nostre campagne in compagnia di Cesare Alfieri e poi relazionò “sull’abilità degli agricoltori della Lomellina” in una lettera all’agronomo francese Naville de Chateauvieux, autore di vari opuscoli sull’irrigazione. Cerri rilesse con trasporto il passaggio cavouriano con cui avrebbe aperto le sue lezioni agostane sotto la veranda: « Sono stato colpito dalla ricchezza delle colture e dall’abilità degli agricoltori della Lomellina. Questa regione, che è compresa tra il Po, il Ticino e la Sesia, è un vero giardino. Essa non ha niente da invidiare alla Lombardia per le marcite, le praterie e i gelsi. Quello che è più stupefacente è che quel paese ha raggiunto tale grado di fertilità in meno di cinquant’anni: alla fine dello scorso secolo, meno qualche eccezione, non era che una landa e una palude ».