Il “truco” dalle pampas alla Lomellina

trucDalle pampas e dalla Boca, il quartiere italiano di Buenos Aires, alle risaie della Lomellina: il gioco di carte chiamato truco in spagnolo e trucco in italiano racchiude in sé un intero mondo. Un mondo che attraversa l’Atlantico e i secoli, e che si è nutrito di emigrazione stagionale, di sudore e di fatica, ma allo stesso tempo di passione, di sberleffi e di tante bevute di vino rosso. Questo gioco di carte è il simbolo più autentico e forse anche inconsapevole di uno spaccato di storia italiana e, nel suo piccolo, lomellina: il fenomeno delle migliaia di braccianti che, fra Otto e Novecento, ogni autunno s’imbarcavano a Genova sui piroscafi “Torino” e “Genova” per andare a “fare il raccolto” (la cosecha) nell’emisfero australe, dove iniziava la primavera. A 11mila chilometri da casa i braccianti lomellini divenuti peones argentini hanno imparato ben presto un gioco che utilizzava un mazzo napoletano (bastoni, spade, ori e coppe) e che impiegava due, quattro o sei giocatori. Una volta ritornati in Lomellina, i braccianti hanno diffuso la sfida di carte nei rispettivi paesi, anche e inevitabilmente modificando qualche regola e qualche parola. Fra loro c’erano i peones di Ferrera Erbognone, che hanno introdotto il truco nelle osterie dando inizio a un’autentica passione che, a cavallo delle generazioni, è durata fino a oggi. Fra i tanti “truqueri” ci sono Luigi Blasigh e Antonio Orfano, gli unici in paese che si possono fregiare della vittoria in un torneo disputato nella vicina Sannazzaro de’ Burgondi. «Noi – spiegano – giochiamo a truco dall’adolescenza: lo abbiamo imparato dagli anziani, alcuni dei quali erano stati emigranti in Argentina, nell’allora casa del popolo di via Garibaldi. Il truco è un gioco molto animato, che si basa in gran parte sul bluff: far credere all’avversario che si hanno in mano carte di valore spingendolo così ad andare al mazzo, cioè abbandonare la mano di gioco. D’altronde, non c’è trucco senza inganno». Oggi la casa del popolo non c’è più e a Ferrera Erbognone il truco viene giocato al bar Caminetto di piazza San Giovanni, gestito dai coniugi Gennaro Fiorelli e Maddalena Gallo. Quando inizia una partita, l’interesse degli avventori del bar è subito assicurato. Perché il truco è più di un vivace gioco di carte: è uno spettacolo teatrale in miniatura e i giocatori diventano prime donne. «Nelle varie fasi del truco – spiegano Blasigh e Orfano – è quasi obbligatorio alzare la voce per intimidire e sbeffeggiare l’avversario, magari avendo in mano solo carte di poco o nessun valore: il bello del truco è anche questo». Ogni giocatore riceve tre carte e la partita, che si vince a 31 punti, è divisa in due fasi: invido (cioè l’invito alla prima sfida), con i rilanci invido-invido, real invido e falt-invido, e truco, con i rilanci quiero retruco e quiero vale quattro. Caso eccezionale è la flor, il “fiore” di tre carte con lo stesso seme. Le parole urlate, strano miscuglio di spagnolo (anzi il “castiggiano” parlato in Argentina), italiano e dialetto lomellino, contribuiscono a far crescere la curiosità. E le frasi idiomatiche si sprecano: quando il giocatore urla al compagno “la primera vale dos” significa che deve giocare la carta più alta per assicurarsi la prima mano oppure quando si hanno flor e carte “brave” (alte) si urla “Per amor di ceccobucco non c’è flor senza trucco”, forse senza sapere che “ceccobucco” è la storpiatura italiana di Chacabuco, cittadina alle porte di Buenos Aires dove gli italiani erano e sono in maggioranza. Per rifiutare l’invido o il truco si risponde “no quiero” o, in modo più colorito, “no ha venido”, cioè la sfida non è arrivata. Perentorio, poi, è l’urlo “callaos” (tacete!) quando gli spettatori attorno al tavolo osano commentare ripetutamente le fasi della mano di gioco. Tra le frasi idiomatiche c’è anche “la flor arriva da Valeggio”, che indica un evento straordinario. Fra una mano e l’altra, poi, non può mancare l’intercalare hombre! a mo’ di presa in giro dell’avversario. Altrettanto importanti sono i segni, quasi invisibili: alzare le sopracciglia indica l’asso di spade, la carta più alta, e schiacciare l’occhio l’asso di bastoni. Ora l’obiettivo dei campioni Blasigh e Orfano è sfidare coppie di altre province, magari inserendosi nel torneo che stanno organizzando i “truqueri” di Varazze e di Casale Monferrato.

truco2

«Gli anziani tornati dall’Argentina segnavano i punti con i fagioli e il premio della vittoria era un bicchiere di vino rosso. Poi c’era sempre qualcuno troppo ligio alle regole: si diceva che giocava cul curtè suta al tàul, cioè pronto a puntare il coltello alla gola dell’avversario». Cesare Filiberti ritorna con la memoria a più di mezzo secolo fa, quando a Ferrera Erbognone c’erano ancora i protagonisti della emigración golondrina, che, come le rondini, era solo stagionale. «Quando ero un ragazzino – dice Filiberti – mi divertivo ad assistere a quelle partite molto accalorate, in cui si urlavano parole spagnole imparate nelle pampas argentine e, qualche volta, tradotte in dialetto lomellino. Per esempio, l’asso di spade, la carta più alta, era detta amsùra, il falcetto usato nelle nostre campagne, per via della forma ricurva disegnata sulla carta. E poi c’erano i segni del volto, quasi impercettibili, per far capire al compagno le carte che si avevano in mano». Nel 1923 l’asso di spade fu cantato anche da Juan Luis Borges nella poesia “El truco”: La autoridad del as de espadas.

I legami fra i peones e i compaesani rimasti in paese erano molto solidi. Per esempio, nel 1911 gli emigrati di fede socialista inviarono un contributo alla lega contadina: 13,30 lire ciascuno da Giuseppe Rampa, Angelo Nardi e Giuseppe Veronesi, e 10,10 lire da Pietro Crotti. Alla fine di marzo arrivarono cinque pesos da Battista Migliavacca, Natale Balladore, Ernesto Bocca, Giuseppe Tartara e Pietro Piccinini, quattro da Cesare Sacchi, tre da Angelo Boeri, due da Giovanni Gatti e uno da Luigi Ramella. In Parlamento il deputato socialista Angiolo Cabrini faceva emergere la necessità di un segretariato pro emigranti nella bassa Lomellina, visto che nel 1910 il Comune di Mede aveva rilasciato ben 138 passaporti, quello di Sartirana 130, di Sannazzaro 57 e di Lomello 37. Tutti braccianti diretti nelle Americhe, dove avrebbero costruito linee ferroviarie e lavorato nelle sterminate pampas, oltre a infervorarsi nelle partite di truco.

El truco

Cuarenta naipes han desplazado a la vida.
Pintados talismanes de cartón
nos hacen olvidar nuestros destinos
y una creación risueña
va poblando el tiempo robado
con floridas travesuras
de una mitología casera.

En los lindes de la mesa
la vida de los otros se detiene.
Adentro hay un extraño país:
las aventuras del envido y quiero,
la autoridad del as de espadas,
como don Juan Manuel, omnipotente,
y el siete de oros tintineando esperanza.

Una lentitud cimarrona
va demorando las palabras
y como las alternativas del juego
se repiten y se repiten,
los jugadores de esta noche
copian antiguas bazas:
hecho que resucita un poco, muy poco,
a las generaciones de los mayores
que legaron al tiempo de Buenos Aires
los mismo versos y las mismas diabluras.

Jorge Luis Borges
Fervor de Buenos Aires (1923)

Cliccate sotto per il video del gioco (da La Provincia pavese)

https://video.gelocal.it/laprovinciapavese/locale/truco-a-ferrera-si-gioca-all-argentina/87068/87538?ref=hfpppves-1

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Pubblicato da Umberto De Agostino

Giornalista (quotidiano La Provincia pavese, settimanale Informatore lomellino e dodici periodici comunali) e direttore dell'Ecomuseo del paesaggio lomellino. Già autore per Fratelli Frilli Editori (Il brigante e la mondina, La contessa nera, Manzoni e la spia austriaca).

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