Ora anche la “lingua di genere”?

Gentili lettrici e lettori, questo articolo vuole portare alla vostra conoscenza il problema numero uno della scuola italiana: quello del linguaggio di genere nel linguaggio amministrativo.

Come dite? Decidere se si deve dire il preside o la preside non è la principale emergenza della scuola italiana? Lo sarebbero, invece, il precariato, la fatiscenza degli istituti, l’affollamento delle classi, le studentesse e gli studenti violenti, le/gli insegnanti impreparati? No, se la pensate così siete veramente delle pivelle e dei pivelli.

La ministra in scadenza Valeria Fedeli ne ha fatto una cavalla e un cavallo di battaglia: «Rafforzare l’uguaglianza di genere e favorire il rispetto delle differenze nell’ambito del sistema istruzione». (Parole sue). Per questo il 7 marzo, alla viglia della festa della donna e con larghissimo ritardo rispetto alle regole del bon ton istituzionale per cui i governi morti-che-camminano dovrebbero limitarsi all’ordinaria amministrazione, ha rilasciato le «linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del Miur». Un vademecum di 30 pagine che invita i/le dirigenti scolastici/che a revisionare le proprie formule linguistiche per sostenere questa fatidica battaglia di civiltà. Le linee guida hanno tutto per trasformarsi nel testamento politico della signora ministra Fedeli, in assenza di più congrui lasciti.

Le linee guida, come si legge nella prefazione firmata dalla stessa ministra, è frutto di un gruppo di lavoro istituito con due decreti dalla stessa ministra (il numero 508 del 19 luglio 2017 e il 664 del 13 settembre 2017), composto da un pugno di dirigenti del Miur fedelissimi della Fedelissima e coordinato dalla vera anima di questa faccenda: Cecilia Robustelli, docente di Linguistica italiana all’università di Modena e Reggio Emilia e massima esperta italiana dei rapporti tra lingua e identità di genere. Secondo la signora Robustelli le operazioni sui testi «richiedono di essere considerate alla luce della teoria per poterne cogliere appieno le implicazioni sul piano testuale e comunicativo e operare di conseguenza scelte consapevoli». E se «nel linguaggio quotidiano (bontà sua, ndr) esse possono essere lasciate alla libertà individuale, per quanto riguarda il linguaggio amministrativo sarebbe preferibile adottare un’impostazione condivisa le cui linee applicative del resto sono già state tracciate anche da atti ufficiali».

Quindi da adesso in poi le dirigenti scolastiche e i dirigenti scolastici dovranno attenersi a regole di stile nuove. Quali? Si dovrà nei documenti far caso alla concordanza del genere grammaticale (scrivendo «la ministra» e non «la ministro»); usare all’occorrenza per ogni nome di professione e di ruolo la sua versione femminile (architetta, prefetta, assessora, ambasciatrice. Ma anche revisora, evasora, oppressora); evitare il più possibile l’uso del solo genere maschile in riferimento a una o più persone, ricorrendo alla strategia della visibilità («la professoressa Rossi e il professo Bianchi», «le alunne e gli alunni») o a quella dell’oscuramento attraverso perifrasi, riformulazioni neutre o indefinite, utilizzo della forma verbale passiva o impersonale.

Insomma, una semplice frase come «gli alunni che arrivano in ritardo» potrà essere riscritta in questi modi: «le alunne e gli alunni che arrivano in ritardo», «le persone che arrivano in ritardo», «il corpo discente che arriva in ritardo», «l’utenza che arriva in ritardo», «chiunque arriva in ritardo», «si deve prestar cura alla puntualità», «l’orario di entrata deve essere rispettato».

Tutto questo necessita di una revisione di tutti i testi emanati dalle dirigenti e dai dirigenti. Non solo, in molti casi bisognerà sostituire tutti i fogli intestati delle scuole dirette da una preside, per stampare in calce «la» dirigente scolastica» invece che «il».

Quanto sarà costato il gruppo di lavoro? Quanto costerà la riscrittura dei documenti? Cosa succedera a chi non dovesse rispettare il manualetto ostinandosi a scrivere il preside Maria Rossi? Ai posteri e alle postere l’ardua sentenza.

http://www.ilgiornale.it/news/politica/lultimo-dono-ai-presidi-ministra-fedeli-usate-lingua-genere-1503343.html

Pubblicato da Umberto De Agostino

Giornalista (quotidiano La Provincia pavese, settimanale Informatore lomellino e dodici periodici comunali) e direttore dell'Ecomuseo del paesaggio lomellino. Già autore per Fratelli Frilli Editori (Il brigante e la mondina, La contessa nera, Manzoni e la spia austriaca).

2 pensieri riguardo “Ora anche la “lingua di genere”?

  1. E’ interessante notare, per ricollegarmi a un altro tuo pezzo sull’inglese nella scuola, che in questa campagna che va avanti da anni per la femminilizzazione delle cariche femminili, in cui è coinvolta anche l’accademia della Crusca, si cerca di “imporre” un uso linguistico che invece viene espliciamente negato nel caso degli anglicismi. Quindi si usano due pesi e due misure: da una parte si nega l’utilità e la liceità delle politiche linguistiche, se si parla di anglicismi, mentre dall’altra sembra perfettamente lecito attuarla, per la femminilizzazione. Il pantano in cui si è infilata anche la Crusca è che sono arrivati a proporre la sostituzione di “stepchild adoption”, con “adozione del partner” (al posto di figlio del compagno o del configlio, come proposto da Sabatini) proprio per usare una voce neutra e non “discriminante” per la donna, sostituendo così un anglicismo con un altro anglicismo.

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