A Nibbiano il campionato mondiale di truco

Giorgio Cremona e Roberto Cerutti hanno concesso il bis all’ottava edizione del Campionato mondiale di trucco, gioco di carte importato un secolo fa dagli emigrati in Argentina. Venerdì 2 agosto 2019 a Nibbiano (alta Val Tidone), in piazza Martiri della libertà, i due campioni hanno preceduto le coppie seconde a pari merito formate da Marco Barocelli e Marco Sposini, zio e nipote, e da Corrado Picchioni ed Enrico Bruni.

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Truqueri in azione nella piazza di Nibbiano

Al di là della classifica, però, la manifestazione promossa dalla Pro loco del paese piacentino al confine con l’Oltrepò Pavese ha costituito un modo di riscoprire il gioco di carte risalente all’epoca della grande emigrazione in Argentina.
Nell’alta Val Tidone sono arrivati gruppi dalla Liguria, dalla Lombardia (una coppia di Mortara), dal Piemonte e, appunto, dall’Emilia: ognuno con le rispettive interpretazioni del gioco portato in Italia dalla lontana Buenos Aires. «Abbiamo stilato un regolamento desunto dalla tradizione di Nibbiano, che i partecipanti hanno sottoscritto – hanno spiegato Matteo Bollati e Nicola Bollati, presidente e consigliere della Pro loco – Ovviamente ognuno dei gruppi gioca con regole in vigore nel proprio paese, ma è stato anche stimolante ascoltare le differenze di giocata. Fra l’altro, noi usiamo un mazzo di carte piacentine, con semi di coppe, denari, spade e bastoni, mentre gli amici della Liguria quelle genovesi, con picche, cuori, denari e fiori».
Otto anni fa Nibbiano lanciò il campionato “mondiale” perché vi parteciparono anche un giocatore argentino e coppie dalla Lomellina. E la relazione fra Italia e Argentina dura ancora oggi grazie alla Società operaia di mutuo soccorso di Sessarego di Bogliasco, rappresentata a Nibbiano da una decina di persone: Luca Sessarego ha creato un gemellaggio con i giocatori di Buenos Aires, dove ha vissuto per un certo periodo. Il gioco di carte chiamato truco in spagnolo e trucco in italiano racchiude in sé un mondo intero: il mondo delle pampas e della Boca, il quartiere italiano (e più che altro genovese) di Buenos Aires, che ha attraversato l’Atlantico e i secoli sulle ali di un mazzo di carte.

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Il gruppo di Sessarego di Bogliasco

 

L’arte indimenticata del truco

L’arte de ser cinico, ladro e cara de pau è la definizione che gli argentini danno del gioco del truco. L’arte di essere cinico ladro e faccia di pane, cioè dallo sguardo indecifrabile.
Questa frase racchiude meglio di mille parole l’essenza di questo gioco di carte che i nostri emigranti portarono dall’Argentina a inizio del secolo scorso. E ancora oggi nei bar di qualche paese, come Cassolnovo (ma non dimentichiamoci di altri luoghi lomellini come Tromello e Ferrera Erbognone, e di cento altri sparsi per l’Italia) nei bar si sentono urlare parole come flor, invido, quiero, truco, che sono i termini di questo gioco che partì dalle coste di Valencia, in Spagna, attorno al Seicento per andare in Argentina ed è tornato in Italia con il ritorno degli emigranti. Quella dei nostri contadini non era quasi mai un’emigrazione senza ritorno. Si partiva per fa cosecha, cioè il raccolto.
Terminati i lavori estivi in campagna, per molti salariati stagionali non rimaneva più nulla da fare, se non cercare un’altra estate e un altro raccolto nell’emisfero opposto al nostro, dove la bella stagione stava iniziando. Si partiva per l’Argetina, in piroscafo, e si andava a Rosario, a Chacabuco (che nel fraseggio dei truqueri di oggi fa rima necessariamente con flor e truco) e nella grande città: Buenos Aires.
Li qualcuno dei nostri in un bar in una notte perderà tutto quanto accumulato creando la frase pérd la ca e la tera ancora in uso oggi tra i giocatori di truco.
Perché il truco non è un gioco del passato. Si gioca ancora nei bar, nei circoli e nelle feste popolari, e addirittura se ne può scaricare una versione da internet. E nei paesi lomellini lo praticano anche i giovani. Le regole spesso sono diverse di bar in bar. A Cassolnovo si smazza a sinistra, ma alla frazione Molino del Conte a destra e solo questo dà luogo a diatribe.
Perché nel truco più che la logica conta il bluff, il saper essere sbruffoni e il sapersi vendere. Ed è cosi che nascono i miti di questo gioco che vive di letteratura, che vanno dalla flor che arriva dal Gran Chaco (dove per ingannare le ore i mandriani si sfidavano a interminabili partite), ma anche da Tromello. Meglio poi se chi canta la flor è amico di Cavòr, cioè il cercatore d’oro a Ticino. Senza contare qualche anziano, di quelli che in Argentina c’erano stati, che fino a qualche anno fa si potevano veder giocare e che spesso citavano frasi imparate dai veri gauchos. Ma se c’è bisogno di nobiltà letteraria a questo gioco di carte, che a chi non l’ha imparato sembra stupido e senza senso, si devono scomodare grandi scrittori come Jorge Luis Borges e Osvaldo Soriano, che sul truco scrissero pagine intere.
Ai lomellini piace di più pensare a un gioco che li riporta alle loro radici e, per molti, a parenti argentini, discendenti di nonni che forse hanno fatto fortuna o sono rimasti insabbiati a Buenos Aires dove, non ci crederete, i giocatori locali prima di ogni gara piantavano un coltello sotto il tavolo, pronto a essere utilizzato per punire ogni sgarro e ogni punto falso cantato.

Andrea Ballone
Provincia pavese, 6 giugno 2004

La testimonianza degli alunni di Oristano

Il truco è un gioco di carte molto diffuso e praticato a Paulilatino. La sua particolarità non è solo quella di essere un gioco che si basa sulla furbizia e sull’astuzia, ma anche ciò che racconta la sua storia. Il nostro paese, infatti, è l’unico in Sardegna dove si pratica attivamente questo gioco. Ma non è stato inventato qua: proviene da migliaia di chilometri di distanza, dall’altra parte dell’oceano.
Il gioco, di base, si fonda sulla capacità di bluffare e capire il bluff dell’avversario. Ma da dove proviene questo gioco? Intervistando gli anziani del paese, abbiamo cercato di ricostruirne la storia.
Il truco è un gioco che nasce in Sud America. è stato portato a Paulilatino negli anni ‘20 del Novecento, appena dopo la fine della Prima guerra mondiale, per opera di tre paulesi: Serafino Cossu, Serafino Trogu e Cosimo Cossu. Questi, come molti altri sardi, avevano dovuto lasciare la loro terra ed emigrare in Argentina per motivi di lavoro. Nelle comunità degli immigrati le attività ricreative erano molto importanti, perché spesso costituivano l’unico passatempo e distrazione dal lavoro. è stato così probabilmente che i nostri compaesani hanno imparato a giocare a truco, allora molto diffuso tra gli argentini.
La maggior parte degli emigrati in genere rimaneva nel nuovo Paese e non faceva più rientro nella sua terra natale. I tre emigrati paulesi, invece, dopo qualche anno decisero di tornare in Sardegna. Una volta rientrati, fecero conoscere ai loro compaesani il nuovo gioco, che ebbe subito una grandissima diffusione.
La cosa particolare è che il gioco non si diffuse nei paesi vicini, ma rimase esclusivo dei paulesi. Tuttavia, intervistando alcune persone, abbiamo scoperto che il gioco non è diffuso solo a Paulilatino. Infatti è capitato anni fa che un abruzzese venuto a Paulilatino sapeva già giocare, perché il gioco era diffuso anche nel suo paese. Esistono tanti paesi in Italia dove è successa la stessa cosa che è capitata a Paulilatino: alcuni emigrati sono rientrati in Italia e hanno diffuso il gioco sudamericano. Così, mentre nel resto d’Italia è diffuso in molti paesi tra Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Abruzzo, Marche e Calabria, in Sardegna l’unico paese dove si gioca è Paulilatino, grazie al viaggio di andata e ritorno dei nostri tre emigrati.

Classe I C – Paulilatino
Istituto comprensivo di Abbasanta (Oristano)
10 maggio 2018

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Pubblicato da Umberto De Agostino

Giornalista (quotidiano La Provincia pavese, settimanale Informatore lomellino e dodici periodici comunali) e direttore dell'Ecomuseo del paesaggio lomellino. Già autore per Fratelli Frilli Editori (Il brigante e la mondina, La contessa nera, Manzoni e la spia austriaca).

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