Campi Raudii in Veneto? No, fra Robbio e Vercelli

Dal capitolo “I Cimbri, un popolo annientato” del mio libro Fatti d’arme e condottieri in Lomellina. Duemila anni di battaglie

Parte quarta (e ultima)

Nemmeno i ritrovamenti archeologici potrebbero condurre a una tesi condivisa? Le ricordiamo che sulla sponda sinistra del Sesia sono eccezionalmente numerosi i ritrovamenti archeologici legati presumibilmente alla battaglia.

« Nel 1921 Battezzati accenna a un ritrovamento cimbrico effettuato a Palestro. Sulla sponda sinistra del Sesia, in territorio lomellino, sono venute alla luce varie monete d’oro, di cui tre custodite a Vercelli e altre nella raccolta del Museo Leone e presso la famiglia Cappa di Palestro. Del resto, lo stesso territorio robbiese abbonda di reperti antichi, alcuni datati Neolitico. Nella zona denominata Prià, oggi Borgo nuovo, sono state rivenute asce dell’età del bronzo, oltre a tombe romane e monete risalenti al 250 d. C. Anche lo storico e archeologo Luigi Maria Bruzza, nato a Genova nel 1813, cittadino onorario di Vercelli dal 1875 e morto a Roma nel 1883, avvalora le sue opinioni con alcune scoperte archeologiche. La battaglia sarebbe stata combattuta fra Rovasenda, Gattinara e Lenta. Lo dimostrerebbero ritrovamenti di monete cimbriche e stateri d’oro del Norico e della Vindelicia (regione corrispondente alla parte nordorientale della Svizzera, al Baden sudorientale e al sud del Würtemberg e della Baviera), e di altre monete barbare dette Regenbogenschussel e uguali a quelle rinvenute in Boemia, a nord del Danubio e ad altre rinvenute tra Danubio, Reno e Meno. Secondo Bruzza, questi sarebbero stati luoghi cimbrici.

Dal canto suo, l’archeologo e numismatico modenese Celestino Cavedoni, sul Bollettino dell’Istituto archeologico germanico del 1853, pubblica la scoperta di un ripostiglio di monete consolari d’argento avvenuta a Roncarolo. Quelle monete dovevano essere state nascoste nell’anno 652 di Roma, cioè il 101 a. C., all’avvicinarsi dei Cimbri nel Vercellese, ove “da Mario furono pienamente sconfitti”».

La localizzazione nei pressi di Vercelli è utilizzata dal Mommsen e pare condivisa dalla maggioranza degli studiosi, ma nel 1958 Jacopo Zennari lancia la bomba delle Vercellæ venete. E i giochi sembrano riaprirsi…

« A onore del vero già nella prima metà dell’Ottocento Cesare Balbo aveva sostenuto che i Cimbri fossero stati annientati lungo l’Adige o la Toccia. Un secolo dopo, Zennari, autore del libro La battaglia dei Vercelli o dei Campi Raudii (101 a.C.), dimostrerà che non si tratta di Vercelli, ma dei “vercelli”. Cioè non del nome proprio di una precisa località, ma di un nome comune molto diffuso nella Gallia Cisalpina, con cui s’indicavano zone minerarie sotto sfruttamento situate alla confluenza di corsi d’acqua e quindi ricche di materiali alluvionali con relativo accumulo di metalli. I Campi Raudii delle fonti latine avrebbero all’incirca lo stesso significato, considerato che la parola raudius è un antico termine tecnico della metallurgia. Il toponimo Campi Raudii starebbe a significare un complesso minerario-industriale alimentato dal materiale alluvionale concentrato alla confluenza di due o più fiumi. Nello specifico, i Cimbri sarebbero stati sconfitti nei campi situati sulla riva sinistra del Po, compresi tra il corso principale del fiume e Adria. Dopo aver scavalcato le Alpi attraverso il passo del Brennero, si sarebbero diretti a sud lungo l’Adige anziché deviare verso nord-ovest. A provare questa teoria esistono ritrovamenti archeologici nei pressi di Rovigo e il fatto che la località di Lusia, a pochi chilometri dal capoluogo polesano, prende nome dalla gens Luxia, strettamente imparentata con Gaio Mario. La stessa figlia del console vittorioso, Maria Tertia, visse nei possedimenti di famiglia nell’odierna Lusia, che dopo la vittoria saranno in parte distribuiti alle truppe e in parte occupati da Mario stesso. Recenti studi sull’origine del castello di Rovigo hanno poi permesso di appurare che le fondazioni delle torri pendenti del castello sono costituite proprio da un insediamento romano di natura agricola. E ancora, la presenza della statua di Mario che lo stesso Plutarco ebbe occasione di ammirare a Ferrara, durante il suo viaggio in Italia, è un’indiretta conferma del fatto che la battaglia si svolse proprio in questa pianura del delta padano.

Sotto l’aspetto linguistico, una delle teorie più diffuse identifica le genti alloglotte residenti sulle montagne del Vicentino, del Veronese e del Trentino meridionale con i discendenti degli antichi Cimbri. Secondo alcuni studiosi, inoltre, il vocabolo “cimbro” apparve per la prima volta in uno scritto del 1314, in cui la città di Vicenza è definita cimbrya. Nel xv secolo uno studioso vicentino pose in relazione l’origine delle colonie “cimbriche” con il popolo germanico dei Cimbri, i cui sopravvissuti alla battaglia del 101 si sarebbero rifugiati sulle montagne tra l’Adige e il Brenta dando origine alle popolazioni dei Tredici Comuni, nel Veronese, e dei Sette Comuni, nel Vicentino ».

campi

Professore, ora, come già per la battaglia al Ticino, ci farebbe piacere conoscere la sua interpretazione. Lei è orientato verso la Vercelli piemontese oppure verso i “vercelli” veneti?

« Badate bene, qui non si tratta di campanilismo. Non siamo a una partita di calcio fra le squadre di Vercelli e di Verona. A me basterà indicare che Plutarco, nel XXV capitolo della vita di Mario, scrive chiaramente che la battaglia fu data en to pedio to perì BercellaV. E qui mi scuso con i lettori se il testo greco, per motivi di caratteri informatici, non riporta gli accenti e gli spiriti. Voi ragazzi non dovreste aver problemi, ma di questo riparleremo alla prossima verifica in classe…

Nei codici non si trova alcuna variante, mentre con Plutarco concorda Claudio Claudiano, autore del iv secolo della nostra era, che nel De bello getico indica le regioni subalpine come il teatro della sconfitta dei Cimbri. Ritengo che chi scrive imparzialmente non possa sostituire Verona a Vercelli, come fecero il Sigonio, il Panvinio, il Maffei e altri veronesi. L’opinione degli scrittori piemontesi sarà confermata nell’Ottocento dall’autorevole Teodoro Mommsen e dall’archeologo Carlo Promis. Per un eccesso di scrupolo, possiamo anche non considerare Plutarco, che colloca i fatti “nella piana presso Vercelli”. Se la battaglia si fosse svolta tra le attuali Ferrara e Rovigo, dovremmo attenderci che almeno qualche scrittore accennasse alla vicinanza dei Campi ad Adria, importante porto dei Veneti e degli Etruschi, o a Este, capitale dei Veneti. Sembra dunque evidente che il luogo della battaglia si trova in una zona lontana dai centri della Valle Padana familiari ai Romani, che prima del 101 disponevano solamente delle colonie di Cremona, Piacenza, Bologna, Modena e Parma. Quindi, noi propendiamo per una soluzione vercellese.

Ora cerchiamo di capire dove si sarebbe svolta la battaglia che vide Mario trionfatore. Floro scrive che i Campi Raudii avevano un’estensione immensa: in latino, campi patentes indicano un’aperta pianura e, se Floro utilizza il superlativo – in patentissimo campo, – significa che il campo di battaglia si estendeva a perdita d’occhio. I soli Cimbri, procedendo a schiera quadrata, occupavano per ciascun lato lo spazio di trenta stadii. Lo stadium era una misura di origine greca che corrispondeva a 125 passi latini, circa 185 metri: dunque, un lato dello schieramento barbaro misurava circa 5,5 chilometri. Un’imponente armata di 200.000 uomini e di 15.000 cavalieri stazionava in un’area di circa trenta chilometri quadrati: sull’altro fronte c’erano i 52.000 legionari di Mario e di Càtulo. Il nome raudium può avere due significati: terreni gerbidi, non adatti alla coltivazione; oppure fondi sgravati da ogni dominio, quindi fondi pubblici. Secondo gli storici novaresi Rusconi e De Vit questi patentissimi campi erano stretti fra Biandrate, Robbio, San Pietro Mosezzo e, a nord, Rovasenda.

Ora riflettiamo sull’etimologia del termine raudium. Solitamente le aree incolte si trovano a ridosso dei corsi d’acqua, dove la coltivazione di prodotti agricoli è inattuabile per via della conformazione geologica del terreno e del timore di esondazioni.

Il corso d’acqua nel caso specifico è il Sesia, fiume a carattere torrentizio il cui nome latino medievale è significativo: Secida o Siccia, poiché per molte settimane dell’anno il suo letto rimaneva asciutto. In epoca romana aveva un corso molto diverso dall’attuale, che entra nel Po nei territori comunali di Breme e di Sartirana Lomellina. Grazie al maggior apporto delle acque fornite dai ghiacciai, rasentava le colline che vanno da Romagnano a Briona e dopo aver lasciato a destra Castellazzo, San Pietro Mosezzo, Peltrengo, Casalino e Granozzo, si spingeva verso Confienza e Palestro. Secondo Goffredo Casalis, il fiume, dopo aver fiancheggiato Langosco, Candia Lomellina e Breme, fra Sartirana Lomellina e Torre Beretti scorreva nei pressi della cascina Trebbiano. Arrivava all’abbazia di Santa Maria di Acqualunga, risaliva a nord verso Tortorolo, “ove si conosce ancora la grande valle or fertilissima di risaie e molto popolata di piante che fu pure il letto della Sesia”, scendeva a Pieve del Cairo per poi gettarsi nel Po a Mezzana Bigli.

A detta di don Calvi, il laghetto di Sartirana Lomellina, garzaia che nel 1996 è stata riconosciuta come monumento naturale regionale, rappresenta la testimonianza dell’antico passaggio del Sesia. Stessa origine, ancora secondo il Casalis, per le rogge Solero, che nasce dallo scaricatore della Roggia Nuova e si butta nell’Agogna bagnando i territori di Galliavola, Pieve del Cairo e Mezzana Bigli, e Raina, che scorre da Zeme fino a Villa Biscossi. Quando il corso del Sesia fu “tagliato” a Breme? Difficile dirlo. Il periodo più probabile è quello dell’imperatore Federico ii, cioè la prima metà del xiii secolo. Sotto l’aspetto linguistico è sintomatico ricordare che il dialetto dei paesi lomellini da Confienza a Breme, cioè a ridosso del Sesia, è fortemente influenzato da quello monferrino, per via dell’antico confine geografico rappresentato dal corso del fiume.

Dunque, nel II secolo prima di Cristo il Sesia scorreva fra le attuali Confienza e Robbio, e questo avvalora la tesi del Mommsen e altri, secondo cui la battaglia avvenne alla destra del fiume ».

Tiepolo Vercellae
Giovanni Battista TiepoloBattaglia di Vercelli, 1725-1729

Quindi in quale punto si sarebbero incrociate le armi romane e cimbriche?

« Nella vastissima pianura fra le attuali province di Pavia, Vercelli e Novara. Nel 101 Vercelli (Vercellæ) non era ancora un municipium romano, titolo che avrebbe ricevuto solamente cinquantanove anni più tardi, nel 42, ma la sua importanza era innegabile per via della posizione strategica sulla strada che andava da Piacenza, punto d’arrivo della via Emilia, alle Alpi. Vercelli diventerà un importante punto di snodo dei traffici commerciali e di sosta delle legioni romane di passaggio.

Possiamo accettare l’ipotesi secondo cui le legioni di Mario e di Càtulo si erano accampate nei gemina castra di Zeme e di Robbio, ancora sulla sinistra del Sesia, per poi passare su quella destra e risalire verso Vercelli. I consoli avrebbero sfruttato il guado di Langosco, che era già presente e che nei primi secoli della nostra era sarebbe stato utilizzato in modo costante per traghettare uomini, animali e mezzi lungo la strada imperiale – la Strada Regina già incontrata nella lezione precedente – da Cozzo a Caresana e a Prarolo.

Le legioni sono risalite verso nord per andare incontro ai Cimbri, che secondo Renato Verdina, autore della ricerca Dalla Val d’Ossola i Cimbri in Italia verso i Campi Raudii (101 a. C.) pubblicata nel 1977 dal Bollettino storico per la provincia di Novara, erano scesi in pianura attraverso i passi alpini nei pressi del lago Maggiore. Poi si erano trincerati in due campi: uno maggiore a Casalbeltrame, dove erano radunate le salmerie, le tende, le donne e i figli al seguito, e uno minore tra Pisnengo e Fisrengo, dove si erano asserragliati i guerrieri e da cui uscirono il giorno della battaglia, disponendosi nell’immenso quadrato di cui abbiamo già parlato ».

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Pubblicato da Umberto De Agostino

Giornalista (quotidiano La Provincia pavese, settimanale Informatore lomellino e dodici periodici comunali) e direttore dell'Ecomuseo del paesaggio lomellino. Già autore per Fratelli Frilli Editori (Il brigante e la mondina, La contessa nera, Manzoni e la spia austriaca).

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