Dal capitolo “Un secolo di sangue e di devastazioni” del mio libro Fatti d’arme e condottieri in Lomellina. Duemila anni di battaglie
Parte terza
La guerra franco-spagnola proseguirà ancora per molti anni e la Lomellina dovrà subirne le conseguenze più funeste, con rapine, incendi e saccheggi.
« In linea generale, va rilevato che il 19 maggio 1643 l’armata francese agli ordini del principe di Condé riporta una decisiva vittoria a Rocroi, mettendo termine alla reputazione di invincibilità della fanteria spagnola. La battaglia influenzerà in modo determinante l’andamento del conflitto, poiché, per la prima volta in un secolo, un’armata spagnola era stata sconfitta in battaglia. Con gli sforzi combinati di Francia e di Svezia, sia pure con sconfitte alternate a vittorie sul campo di battaglia, la guerra dei Trent’anni terminerà il 24 ottobre 1648 con la sconfitta degli imperiali e la firma della pace di Westfalia, mentre la Spagna continuerà la guerra capitolando solo nel 1659.
Tornando in Lomellina, un mese e mezzo dopo la presa di Breme, la flotta spagnola sbarca a Finale Ligure 2.000 soldati napoletani, che si dirigono in Lombardia impadronendosi di Valenza e di Mortara. Non mancano le scorrerie ai danni delle popolazioni rivierasche del Po, in una delle quali sono incendiati i mulini di Sartirana.
Nel 1643 il principe Tommaso di Savoia Carignano ordina il saccheggio dei borghi lomellini fra il Sesia e l’Agogna, fra cui Robbio e Rosasco, in cui è quasi completamente distrutto il castello, per raccogliere vettovaglie da indirizzare alla piazzaforte di Casale Monferrato. Da segnalare che alla liberazione di Casale Monferrato dall’assedio degli Spagnoli parteciperà anche il marchese Villa, protagonista del sonetto di Francesco Melosio Nel soccorso di Casale con la rotta dei Spagnoli. A Castello d’Agogna i transiti delle truppe da Mortara verso Candia e Casale Monferrato, e viceversa, portano con sé continui assalti al castello, oltre a pesanti requisizioni di carne e di buoi. L’anno dopo, in estate, lo stesso principe, volendo coprire una marcia da Candia verso il Po, che intende passare a Pieve del Cairo, accenna a un attacco contro la fortezza di Breme, ma è respinto e inseguito da pochi reparti di cavalleria. Torna verso Candia e ne devasta il territorio, e il 13 luglio espugna Sartirana, da cui se ne andrà solamente nel 1646 dopo una serie di ruberie e di vandalismi. Stessa sorte tocca a Candia, trovata priva di difensori, e a Mede, che i “collegati” francesi, savoiardi e parmigiani conquistano e saccheggiano dopo aver incendiato Tortorolo. Nell’occasione emerge la figura del medese Migliazza, che combatte nell’esercito spagnolo: questo capitano accorre con i suoi soldati alla difesa del paese natio, assale i francesi che stanno depredando viveri e materiale vario riposti in una chiesa. Ne uccide più di cento e s’impossessa anche di alcuni cavalli prevenendo così al paese un disastroso saccheggio. I franco-piemontesi si concentrano a Pieve Albignola e a Pieve del Cairo, da cui vorrebbero attraversare il Po per aggirare gli spagnoli a guardia di Pavia, ma il tentativo andrà a vuoto.
Nel 1645, passato il Po, l’esercito franco-savoiardo al comando di Tommaso di Savoia pone l’assedio al borgo di Sartirana, che trova disabitato: soldati e abitanti si erano rifugiati a Breme per trovare difesa in quella fortezza. Alla fine dell’anno Tommaso di Savoia e il fratello, cardinal Maurizio, riescono a conquistare Vigevano, di cui saranno potenziate le fortificazioni grazie all’abbattimento di alcune case e delle due chiese di San Rocco, una delle quali sarà ricostruita nel 1647 di fronte a San Pietro Martire. È demolito anche il convento di San Pietro Martire, a riserva della chiesa, della sagrestia e del capitolo, e i religiosi sono obbligati ad abbattere parte del campanile. Gli spagnoli, però, non si danno per vinti e, il 6 gennaio dell’anno successivo, riconquistano la fortezza al termine di un mese d’assedio. Subito dopo, ordinano la demolizione della rocca di Vigevano: ci vorranno tre mesi, in cui quattrocento minatori consumano 300 barili di polvere da sparo. Quasi inutile precisare che entrambi gli eserciti vesseranno la popolazione vigevanese, depredando le derrate e mettendo in ginocchio le campagne.
Il 1646 è anche l’anno in cui Madrid decide di smantellare la piazzaforte bremese, ritenuta troppo discosta dagli altri luoghi fortificati. Sulla decisione pesano anche l’eccessivo dispendio per il mantenimento della guarnigione e il timore che i francesi, dopo un assedio vittorioso, avrebbero potuto utilizzarla per minacciare Milano. L’ordine di abbattere le mura arriva da Juan Velasco de la Cueva, conte di Sirvela e governatore ad interim di Milano in assenza di Leganès. Oggi nei dintorni del paese si scorge ancora qualche resto delle mura e della mezzaluna, mentre sulla destra della provinciale per Candia si trova un campo quadrato detto “piazza d’armi”, probabile eredità toponomastica del XVII secolo. Lo stesso governatore, giunto da Pavia, passa in rassegna l’esercito nelle campagne attorno a Pieve del Cairo, da cui, due anni dopo, un robusto corpo di spedizione sarà inviato in soccorso di Tortona assediata dai francesi.
Nel 1647 la fanteria francese saccheggia Candia, mentre i cavalleggeri irrompono a San Giorgio di Lomellina depredando la popolazione. L’anno successivo, il generale Villa percorre la Lomellina imponendo pesanti contribuzioni agli abitanti di Breme e di Candia prima di ritirarsi al Tanaro. Nel 1652 le truppe spagnole guidate dal governatore Luis de Benavides Carrillo, marchese di Caracena, si accampano fra i territori di Candia e di Cozzo in vista della progettata invasione del Monferrato.
Il 1655 è l’anno dell’assedio di Pavia: il principe Tommaso attacca l’ex capitale longobarda con un’armata di 22.000 soldati francesi, ma dovrà ritirarsi dopo un disgraziato assedio durato cinquantadue giorni, dal 25 luglio al 17 settembre. Circa 14.000 soldati perderanno la vita negli scontri o a causa delle febbri intermittenti, che fra l’altro colpiscono lo stesso principe. In quest’occasione, mezza Lomellina è interessata dal passaggio delle truppe, che incendiano Palestro, per la seconda volta nell’arco di sedici anni, e saccheggiano Zeme e Semiana. Anche le requisizioni non si contano: i piemontesi razziano, in vari paesi, più di mille bovini. Diversi reggimenti si accampano a Sannazzaro de’ Burgondi, a Gropello Cairoli, a Dorno e a Borgofranco, l’attuale Suardi. Dopo aver simulato il passaggio del Ticino a Vigevano, Tommaso di Savoia e il generale Villa dirigono l’esercito verso Garlasco per gettare il ponte a Bereguardo ».
Gli ultimi quattro anni di guerra sono i più tragici per le popolazioni dei borghi lomellini. Gli eserciti in transito non esitano a colpire cittadini inermi compiendo autentici massacri. E i cimiteri accolgono anche salme di combattenti.
« Per farvi capire la gravità del momento, vi leggo un illuminante passo del libro di Tagliacarne, stampato alla metà dell’Ottocento: “Questa guerra fu sempre combattuta a scaramucce e non mai con battaglie decisive, le quali almeno con un fatto troncano le querele dei potenti e pongono fine alle desolazioni e ai devastamenti de’ popoli e di loro fortune”.
Nel 1656 Valenza cade in mano francese, evento che riserverà le conseguenze peggiori ai paesi di confine lungo il Po poiché fino al 1658 la Lomellina occidentale si troverà al centro delle manovre militari per la riconquista della piazzaforte, chiave delle comunicazioni tra Milano e il mare, da parte degli spagnoli. Nel 1656 i piemontesi tentano di prendere Alessandria, ma senza esito. Gli spagnoli condotti dal governatore di Milano, Alfonso Perez de Vivero y Menchaca, conte di Fuensaldaña, occupano Sartirana nella prospettiva di soccorrere Valenza, ma dovranno ritirarsi dopo inutili tentativi. La base di Fuensaldaña diventa Sannazzaro, dove si ritira all’indomani della sconfitta di Valenza e da cui partirà alla volta di Breme per arrestare la marcia del duca di Modena verso il Vercellese. Non riuscirà nell’intento e farà ritorno a Sannazzaro, dove l’anno successivo getterà un ponte sul Po. A Garlasco i registri parrocchiali riportano i nomi di cinque cittadini uccisi nel 1656 dai soldati tedeschi di passaggio [a militibus Germanis in depopulatione facta a Garlasco]: si tratta di Giacomo Marano, marito di Caterina Maria Panzarasa (de Pantiarasis), Antonio Gambonini (Gambuoninis) detto Paladino, Arfenino Guallini (Guallinus), Muto Giandorosati e Anna Maria Comelli, moglie di Giovanni Antonio Comelli (de Comellis). Nel 1657 Sartirana è occupata per pochi mesi dai francesi, che a settembre muoveranno verso Alessandria. Nei combattimenti attorno al paese le vittime sono numerose, alcune delle quali sono citate nei registri mortuari di quell’anno. Il 20 maggio muore un soldato della compagnia del generale tedesco Truffer, alleato degli spagnoli, e viene sepolto nel cimitero della Santissima Trinità. Il 24 luglio perde la vita Pietro Plasus, soldato francese della compagnia agli ordini di Capilier, mentre il 29 agosto muore Battista Inclos, soldato inquadrato nella compagnia del capitano Paolo Signa.

In questo contesto, Frascarolo è un borgo considerato di grande rilevanza perché diviso da Valenza solamente dal Po. Nella prima parte della guerra se n’erano impossessati il duca di Savoia e il maresciallo Crequì, che saranno ben presto sfrattati dallo spagnolo Coloma. Nel 1657 il governatore Fuensaldaña ordina a Piero Gonzales, futuro mastro di campo generale, di costruire un enorme fortilizio impiegando oltre 6.000 uomini, com’è attestato dalle relazioni dell’ambasciatore veneziano a Milano oggi conservate all’Archivio di Stato di Venezia, per impedire le scorrerie dei nemici in Lomellina. Governatore è nominato il conte Francesco Arborio Gattinara, definito dal Pollini “cavaliere di esimio valore e di sperimentata perizia nell’armi”, la cui famiglia è feudataria del borgo di Frascarolo dal 1522. Il Gattinara fa scavare una trincea attorno al paese e costruire due fortini a difesa, lasciandovi un forte corpo dell’esercito spagnolo al comando del generale Ekenfort e del duca di Mantova. Siamo a giugno. Da Valenza il marchese Valavier tenta di occupare, utilizzando il fattore sorpresa, uno dei forti realizzati a difesa del trinceramento. Raduna un buon numero di soldati e li munisce di scale, di falconetti e di altri attrezzi; nel pieno della notte egli stesso con diversi ufficiali monta su una piccola imbarcazione legata alla riva da una fune, mentre su un’altra barca fa montare parte delle sue truppe. Alcuni soldati francesi armati stanno per sbarcare sulla riva sinistra del Po, quando la loro imbarcazione è trascinata dalla corrente contro quella del governatore. L’urto è fragoroso. Annegano tutti i soldati e lo stesso il Valavier può salvarsi a malapena solamente grazie all’immediato aiuto di un barcaiolo, ma deve assistere alla morte di un suo nipote e di sei capitani. In settembre il Gattinara attaccherà e occuperà la torre di San Diego, che sorge dirimpetto a Valenza e che farà minare e distruggere.
Il 28 settembre i franco-piemontesi attestati sulla destra del Sesia rimangono senza provviste e attaccano gli spagnoli acquartierati in Lomellina traghettando il fiume a Motta de’ Conti. Ne faranno le spese i borghi compresi fra Candia e Confienza. A Candia cento cavalleggeri francesi depredano una gran quantità di bestiame, ma i tedeschi accasermati a Sartirana li inseguono riuscendo a rimpossessarsi degli animali e a fare diversi prigionieri. A Cozzo una lapide infissa nel muro di cinta del soppresso convento di San Francesco ricordava il comandante don Matheo Moran, morto il 5 ottobre e sepolto il giorno successivo. A Breme i confederati effettuano una requisizione portando con sé molti buoi. Più a sud le truppe franco-savoiarde si concentrano fra Bassignana e Alluvioni Cambiò, sulla sponda destra del Po, con lo scopo di impegnare il nemico attestatosi a Suardi pronto ad assediare Alessandria.
Nel 1658 Celpenchio, Langosco, Cergnago, San Giorgio di Lomellina e Pieve del Cairo sono assediati e devastati dal duca di Modena, Francesco I d’Este, alleato dei franco-piemontesi, mentre si registra l’ennesima scorreria ai danni delle popolazioni di Breme e di Valle. I ripetuti tentativi dei franco-piemontesi di entrare in Lomellina attraverso il borgo fortificato di Frascarolo, fra cui un attacco del marchese Valavier al comando di trecento fanti e di cento cavalleggeri, sono respinti dagli spagnoli, che però, il 28 maggio, devono cedere all’energica pressione delle truppe del ferrarese Villa. Fuensaldaña, privo di forze sufficienti, ordina ad Arborio Gattinara di minare la fortificazione lomellina, affinché il nemico non ne possa venire in possesso. Andrà male anche il tentativo di sorprendere nottetempo la piazzaforte di Valenza, contro cui il governatore lancia le truppe accampate a Sannazzaro: pochi mesi più tardi, a novembre, questo borgo sarà occupato dai francesi.
All’estremità opposta della Lomellina, Fuensaldaña ordina la deportazione della popolazione di Vigevano. Francesco I, che spera di raccogliere vettovaglie in vista dell’assedio di Mortara, sfogherà la sua ira ordinando di distruggere parte delle mura e le porte di Predalate, di Valle e di San Martino. Minaccia anche di appiccare il fuoco alla città, ma una delegazione di cittadini e di religiosi “tanto seppe supplicare sua altezza, che li levò (per così dire) il flagello di mano”. La testimonianza coeva è di un vigevanese d’eccezione: Carlo Stefano Brambilla, cancelliere e notaio del Capitolo della cattedrale, autore del volume La chiesa di Vigevano (1669) ».