La marcita, pratica millenaria dai Cistercensi a oggi

Marcita come coltura pratense per l’alimentazione dei bovini, ma anche area per la tutela della flora e della fauna, e la salvaguardia dei fontanili. Dell’antica pratica irrigatoria introdotta nel Medio Evo dai monaci cistercensi in Lombardia e in Piemonte si parlerà giovedì 11 febbraio, dalle 16 alle 18.30, nel seminario virtuale “Le marcite tra passato e futuro. Aspetti ambientali e produttivi”, organizzato dal dipartimento di Scienze della terra e dell’ambiente dell’Università degli studi di Pavia e incentrato sul progetto “Agroecosistemi e conservazione in Lombardia di specie vegetali rare di direttiva Habitat” (Clover).

«Vogliamo far conoscere – spiega Simone Orsenigo, ricercatore del dipartimento pavese – la grande valenza ambientale delle marcite in cui la vegetazione non viene danneggiata rimanendo sott’acqua perché, rinnovandosi continuamente, fornisce ossigeno alle radici. In particolare, grazie a questa forma di biodiversità si possono studiare la flora protetta, fra cui la felce acquatica “marsilea quadrifolia”, gli invertebrati e gli uccelli migratori che sostano su questi prati perennemente allagati. L’interesse manifestato dall’Università è di naturale ambientale, ma scopo del progetto è anche illustrare agli agricoltori che operano all’interno dei siti Rete Natura 2000 le buone pratiche che permettono di conciliare le attività agricole con la conservazione della natura, ricavandone possibilmente un reddito». La marcita è una tecnica colturale caratteristica della pianura lombarda e piemontese, impiantata per la prima volta nelle grange, grandi aziende agricole di proprietà delle abbazie benedettine: in sintesi, consiste nell’utilizzo dell’irrigazione a gravità effettuata utilizzando l’acqua proveniente dalle risorgive anche nella stagione invernale. Nella stagione estiva i prati sono irrigati periodicamente, mentre in quella invernale sono irrigati in modo continuato.

In Lomellina le ultime marcite si trovano nella valle del Ticino, alla frazione Molino d’Isella di Gambolò, e alla Sforzesca di Vigevano, luogo legato al nome di Leonardo da Vinci. Fra i boschi del Ticino si trova cascina Criminale, azienda agricola gestita da Vittorio Ottone e Michela Castelli e dal figlio Luca, che parleranno al seminario di giovedì. «Gestiamo le marcite come un tempo – spiegano – perché abbiamo la necessità di alimentare le vacche e i vitelli della nostra stalla, una settantina di bovini che possono così mangiare loietto e trifoglio in tutti i mesi dell’anno. In estate le marcite, non scostandosi dai comuni prati naturali irrigui, forniscono il fieno, mentre nel periodo invernale l’acqua d’irrigazione, a temperatura di circa dieci gradi, scorrendo ininterrottamente sul terreno impedisce il raffreddamento del manto erboso del prato, che continua a crescere anche se la temperatura dell’aria è molto bassa». L’acqua di risorgiva è mantenuta in continuo movimento dalla conformazione dolcemente declinante del terreno, impedendo in questo modo che il suolo ghiacci. Lo sviluppo della vegetazione prosegue così anche durante l’inverno, rendendo possibile effettuare annualmente almeno sette tagli di foraggi contro i quattro del migliore prato stabile.

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Pubblicato da Umberto De Agostino

Giornalista (quotidiano La Provincia pavese, settimanale Informatore lomellino e dodici periodici comunali) e direttore dell'Ecomuseo del paesaggio lomellino. Già autore per Fratelli Frilli Editori (Il brigante e la mondina, La contessa nera, Manzoni e la spia austriaca).

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