Conti Langosco di Langosco, mille anni di storia

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La madre di Ricciardino Langosco in cerca del figlio morto (quadro di Pasquale Massacra, primo Ottocento)

Più di mille anni di storia, dai Longobardi al Sacro Romano Impero e alle lotte fra Comuni e signorie medievali fino a oggi. I conti Langosco di Langosco rappresentano una delle cento famiglie millenarie d’Italia e d’Europa: domenica 29 aprile il capo della casata nobiliare, il 72enne Riccardo, arriverà a Langosco, paese d’origine della sua famiglia, per inaugurare il gonfalone comunale e assistere all’intitolazione dell’area davanti alla chiesa ai conti Langosco di Langosco.

Che cosa si prova a essere il capo di una famiglia così ricca di storia?

«Una bella responsabilità. Io sono l’ultimo discendente di Petrus, un giudice di origini longobarde vissuto alla fine del IX secolo. I suoi due figli, all’inizio del X secolo, legarono il loro nome all’abbazia di Nonantola. Poi arrivò la prestigiosa carica di Conti Palatini del Regno d’Italia nel Sacro Romano Impero: il primo Comes Palatii, Conte del Palazzo, fu Ottone I di Lomello, che ricevette il titolo nel dicembre 999 per mano dell’imperatore Ottone III. Oggi siamo fra le cento famiglie italiane ed europee con mille anni di storia alle spalle».

Come si passò dai conti di Lomello a quelli di Langosco?

«Dopo i disordini del 1004 e del 1024 contro l’imperatore Enrico II il Santo, i Conti palatini di Pavia presero stabile dimora a Lomello. Fra loro c’era Gandolfo, capostipite della famiglia Lomellini emigrato a Genova nel 1102. Intorno al 1137 il Comune di Pavia riuscì a espugnare Lomello obbligando i conti a risiedere a Pavia. L’atto di spartizione datato 1174 segnò l’inizio dei rami che risedettero a Langosco, a Sparvara e a Piacenza. Nel XIII secolo la famiglia si divise nei rami di Langosco di Langosco, quello principale, di Stroppiana e di Motta de’ Conti».

Oggi lei di che cosa si occupa?

«Da 22 anni sono il titolare di una società di commercio internazionale che tratta materie prime in tutto il mondo. È un lavoro impegnativo, con base a Genova, la mia città di residenza, ma che mi consente comunque di raggiungere Langosco almeno due volte l’anno per partecipare alle belle iniziative promosse dal Comune e dalla Pro loco. Al cimitero di Langosco, fra l’altro, ci sono le tombe di alcuni miei avi».

Da chi è composta la sua famiglia?

«Vivo con mia moglie Maria Clarice, con cui a breve festeggerò le nozze d’oro: abbiamo organizzato un ballo in maschera nella nostra villa di Genova. Poi ci sono i nostri figli Irene e Federico, che oggi abita a Londra e a cui trasmetterò l’antico titolo di Conte Palatino e di Lomello, e i miei fratelli Massimiliano e Maria Luisa».

Qual è la storia del gonfalone di Langosco?

«Molto singolare, direi. Da diversi anni il Comune di Langosco mi chiedeva il permesso di utilizzare il nostro stemma nobiliare per il nuovo gonfalone. Risposi che l’avrei regalato con piacere e così partì l’iter burocratico con l’invio delle pratiche a Roma. A un certo punto qualche funzionario ministeriale si mise di traverso sostenendo che la Repubblica italiana non poteva approvare un gonfalone desunto da uno stemma nobiliare. Sul nostro scudo svetta un cimiero che riporta una donna, la Giustizia, vestita di rosso e di azzurro con la spada e la bilancia.

Langosco gonfalone
Il conte Riccardo Langosco di Langosco con la famiglia e il nuovo gonfalone comunale

Poi c’è il motto “Cum mero et mixto imperio”, diretto richiamo a prerogative istituzionali. Nell’alto Medioevo, infatti, il Conte palatino esercitava le funzioni sovrane della giurisdizione civile e criminale: all’epoca l’espressione giuridica utilizzata per descrivere questa potestà era appunto “Cum mero et mixto imperio”. Quanto al cimiero, il richiamo alla funzione giurisdizionale è evidente dalla raffigurazione della Giustizia, con la bilancia simbolo di equità e la spada simbolo di potere. In alcune versioni dello stemma, l’originario troncato di rosso e di azzurro appare sormontato da un’aquila nera con corona su sfondo giallo. Si trattava di un segno di fedeltà al Sacro Romano Impero, che, per accreditare una pretesa continuità con l’Impero romano, adottò l’aquila delle legioni come simbolo distintivo. Per farla breve, la Repubblica ha censurato i riferimenti al passato “aristocratico” di Langosco e oggi il gonfalone mantiene solo i nostri colori rosso e azzurro».

I palazzi Langosco nel Nord Italia

L’importanza dei conti Langosco nella storia di Pavia e del limitrofo Piemonte passa anche attraverso alcuni palazzi nobiliari. A Pavia, di cui Filippone, uno dei capi del partito ghibellino in Lombardia, fu signore a cavallo di Due e Trecento e dove morì prigioniero dei Visconti prima del 1320, si trova palazzo Langosco Orlandi. L’immobile di piazza del Carmine fu costruito fra la fine del Quattro e l’inizio del Cinquecento: oggi è adibito ad abitazioni private, uffici e servizi. In gran parte completato nel Settecento, conserva all’interno un cortile porticato la cui ala di fondo risale alla fine del Quattrocento. La parte rinascimentale presenta un portico con archi a tutto sesto, di impronta classica, che rivela una notevole maturità di stile. Sopra gli archi è una serie di finestre architravate ornate di ricchissime terrecotte. Non si conosce il nome dell’architetto che ideò questo esempio di arte bramantesca, ma tutto lascia supporre che fosse un artista vicino al grande artista urbinate. L’ala rinascimentale fu costruita da un maestro Giacomo de Grogno, che lasciò il proprio nome e il proprio ritratto in una formella del portico.

L’eredità architettonica della nobile famiglia lomellina è visibile anche a Casale Monferrato. Oggi palazzo Langosco è sede della biblioteca civica e si amalgama con le diverse costruzioni costituenti il grande complesso di Santa Croce, ex convento degli Agostiniani. Nel palazzo, al tempo dei duchi Gonzaga, aveva sede il Senato Casalese e come Salone del Senato è ancora oggi indicata la grande sala d’ingresso, restaurata negli anni Sessanta. Acquisendo l’edificio, i Conti di Langosco apportarono importanti modifiche alla situazione preesistente: la parte più pregevole (scalone d’onore a due rampe e salone d’ingresso) fu costruita nel 1776 su disegno di Giovanni Battista Borra.

A Vercelli il palazzo Langosco, notevole esempio di architettura tardo-barocca, ospita oggi il Museo Leone, con collezioni di opere di arte applicata, filigrane e armi dal Cinquecento al Novecento: fu realizzato nel 1742 per iniziativa di Gioachino Ignazio dei conti Langosco di Stroppiana. Al ricco apparato decorativo settecentesco appartengono i delicati stucchi del portale d’ingresso e dell’atrio, a motivi architettonici e vegetali su campiture pastello. I Langosco di Stroppiana lo vendettero nel 1789.

Pubblicato da Umberto De Agostino

Giornalista (quotidiano La Provincia pavese, settimanale Informatore lomellino e dodici periodici comunali) e direttore dell'Ecomuseo del paesaggio lomellino. Già autore per Fratelli Frilli Editori (Il brigante e la mondina, La contessa nera, Manzoni e la spia austriaca).

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