Campi Raudii va bene, ma dove esattamente?

Dal capitolo “I Cimbri, un popolo annientato” del mio libro Fatti d’arme e condottieri in Lomellina. Duemila anni di battaglie

Parte terza

La località dove avvenne lo scontro è detta, dalle fonti latine, Campi Raudii. La quasi totalità dei libri di storia antica parla di una zona attorno a Vercelli, perché Plutarco fa esplicitamente il nome della città piemontese.

« Anche in questo caso, come abbiamo già visto per la pugna apud Ticinum, gli storici hanno fatto a gara nell’accaparrarsi il luogo della battaglia del 101. Spesso, per vanità e per mere ambizioni campanilistiche, hanno tramutato nomi di città e di paesi per farli coincidere con quelli delle rispettive terre d’origine. Come vedremo poco più avanti, qualcuno legge Verona per Vercelli e altri ritengono che quei campi si debbano cercare a nord di Parma, nei pressi di Brescello, o tra Torino e Pollenza. Le diverse interpretazioni potrebbero essere causate dalla discordanza tra il racconto di Plutarco e quello di altri autori latini circa il nome del fiume nei cui dintorni sarebbe avvenuta, però in territorio veneto, la disfatta di Lutazio Càtulo precedente ai Campi Raudii. A riprova di quanto sosteniamo il vercellese Carlo Dionisotti, che scrive alla fine dell’Ottocento, elenca ventun Comuni del Vercellese e del Biellese ubicati nella presunta regione della battaglia: Giffienga, Motta Alciata, Castellengo, Castelletto Cervo, Brusnengo, Roasio, Roasenda, Cascina San Giacomo, Buronzo, Balocco, Formigliana, Casanova Elvo, Collobiano, Villarboit, Oldenigo, Gattinara, Albano Vercellese, Greggio, Arborio, Ghislarengo e Lenta.

Molti ritengono che Plutarco, secondo cui lo scontro sarebbe avvenuto apud Vercellas, identifichi la città in questione con quella piemontese: di conseguenza, i Campi Raudii sarebbero configurabili in un quadrilatero delimitato da Robbio e Cameriano, da una parte, e dal fiume Sesia e dal torrente Agogna, dall’altra. Seguendo questa tesi, i Cimbri avrebbero dunque valicato le Alpi attraverso la Val d’Ossola per poi scendere nella pianura vercellese-lomellina lungo il Sesia. Mario Merlo ricorda che Robbio fu centro imperiale d’una certa rilevanza, essendo posto su una delle strade consolari più battute che portavano alle Gallie: più esattamente la Pavia-Lomello-Mortara-Robbio-Vercelli-Ivrea-Aosta-San Bernardo-Francia centrale e Britannia. “Si può dunque asserire che la civitatula fosse direttamente collegabile a Roma, anche se l’itinerario si ramifica in una raggiera viaria a decorso intermunicipale, frequentata da viaggiatori, pellegrini e soldati”, scrive. In realtà, abbiamo già visto nella lezione precedente che l’itinerario Pavia-Lomello procedeva verso Cozzo, a nord-ovest, e non a nord verso Mortara, ma in ogni caso, fra il II e il I secolo avanti Cristo, possiamo supporre che la futura Via Francigena (Pavia-Mortara-Robbio-Vercelli) fosse già una pista utilizzata per raggiungere le Gallie.

Campi raudii
I Romani vittoriosi ai Campi Raudii

I fautori dell’ipotesi robbiese indicano la località Campo Mario situata nelle vicinanze della grande tenuta Torre, nel territorio comunale di Robbio ai confini con quello novarese di Vespolate. Toponimo inequivocabile… Poco lontano c’è persino un terreno che conserva il sintomatico appellativo “Il morto”. E più a nord, sempre fra gli attuali confini delle province di Pavia e di Novara, sulla strada per Casalino e Novara sorge l’antichissimo borgo di Cameriano, attuale frazione di Casalino, paese del Novarese al confine con la lomellina Confienza. Il luogo emerge dalle carte medievali come Arcamarianum, etimo che i glottologi fanno derivare da Arcus marianum, cioè arco eretto in onore di Mario a perenne ricordo del trionfo sui Cimbri ».

Sono toponimi contenuti anche negli scritti di don Calvi, che nell’Ottocento citava fonti risalenti a secoli addietro. Anche in questo caso si propende per una zona lomellina.

« Il sacerdote palestrese, con Anneo Floro, non dubita che questa battaglia sia stata combattuta in patentissimo, quem Raudium vocant, campo. L’interpretazione topografica, però, non appare così netta. Dapprima don Calvi formula l’ipotesi veronese citando il modenese Sigonio (1520-1584) e il veronese Onofrio Panvinio (1530-1568), ma subito dopo inverte la rotta segnalando lo storico e poeta Jacopo Durandi, nato a Santhià nel 1739 e morto a Torino nel 1817: “lo non intendo come la così precisa testimonianza di Plutarco possa lasciar luogo a controversia”. Le supposizioni si sprecano e don Calvi non manca di farne venire alla luce il maggior numero possibile: chi scambia Rho con Raudio, chi immagina di trasportare la lotta sul monte di Rade nel territorio di Gattinara, nel Vercellese. Salvo poi fornire la propria certezza abbracciando l’ipotesi di Filippo Cluverio, studioso tedesco vissuto fra il 1580 e il 1622, e considerato il fondatore della geografia storica: i Campi Raudii si trovano nella vastissima pianura di Robbio, tra Vercelli e Novara, e non certo nel Veneto. Il veronese Scipione Maffei, secondo don Calvi, avrebbe preso una cantonata scrivendo che “non vi fosse niun luogo in Italia” cui convenga l’aggettivo patentissimo meglio della campagna veronese: “Chi ha veduto l’immensa pianura tra Candia, Zeme, Vigevano, Robbio, Vercelli, Novara, Biandrate, la quale non era certamente coltivata a riso ai tempi di Mario, non vorrà (credo) ripetere quanto ha pronunciato il famoso Maffei!”. Su questa pianura la cavalleria romana poté giocare un ruolo fondamentale nella vittoria romana. Da una versione del testo di Floro, poi, non si leggerebbe Raudium, ma Caudium o Candium e si sarebbe sancito il luogo dello scontro vicino al Po. È scontato, dunque, supporre che il luogo sia Candia, paese lomellino poco distante dal grande fiume e a circa quindici chilometri a sud di Robbio.

A questo punto, don Calvi abbraccia le ragioni del vercellese Durandi, definito “dottissimo scrittore di Santhià”, poiché nel territorio robbiese si trovano un podere denominato Campo di Mario e un altro noto come “il Morto”. Anche il novarese Carlo Morbio, autore del celebrato Storie dei municipj italiani illustrate con documenti inediti, notizie bibliografiche e di belle arti (Milano 1836-1846), di cui fanno parte i capitoli relativi a Pavia e a Novara, cita le coerenze di alcuni fondi dell’area robbiese da cui si deduce la presenza di un Campo Raudio e di un Chamariano. Questo toponimo assume indubbia importanza anche per il vigevanese Biffignandi Buccella, secondo cui sarebbe stato eretto un arco trionfale in onore di Mario. Il luogo deriverebbe dalla contrazione delle voci Castra mariana. E il sacerdote si accoda non ritenendo peregrina l’ipotesi che la battaglia si sia combattuta nei pressi di Cameriano. Lo storico Secondo Giuseppe Pittarelli, nel volume Della celebratissima tavola alimentaria di Trajano scoperta nel territorio piacentino l’anno mdccxlvii risalente al 1790, dimostra la presenza dei Mariana castra. Cameriano prenderebbe il nome da Castra Marii o da Arcus marianus anche a detta dei novaresi Pietro Azario, vissuto nel Trecento, e Gaudenzio Mèrula. Fra i borghi e castelli bruciati nel 1361 su ordine di Galeazzo Visconti rientra anche un Arcamariani, citato anche dal ginevrino di origini toscane Simondo Sismondi (Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, 1773-1842). A supporto della tesi vercellese-lomellina ci sono anche Cesare Cantù e il pavese Capsoni. Nomi di eruditi che spingono don Calvi a confessare: “Stimo che il giudizio di questi storici locali o patrii si debba anteporre a quello degli autori viventi, o vissuti in lontane città, i quali quanto più sono inchinevoli a ricordare, e lodare ogni minima cosa spettante alle loro metropoli, tanto meglio si mostrano pronti a sprezzare le memorie dei paesi di minor fama, o a trattarne con negligenza la storia”. L’Arcus marianus è ricordato anche in un documento del 9 agosto 1499 e dal milanese Giorgio Giulini, laureatosi a Pavia nel 1731 e definito da don Calvi “dotto e diligentissimo storico”.

Da ultimo, vale la pena citare il contributo di Carlo Bascapè, vescovo di Novara dal 1593 al 1615, collaboratore e fedele seguace di san Carlo Borromeo: “Terminatio […] nominatur ab Arco mariano vulgo Camarianum […] recteque in victoria existit monumentum arcus”. Poi l’alto prelato critica il modenese Sigonio e i sostenitori della battaglia “veronese”. E in conclusione arriva l’opinione dello storico-religioso di Palestro: “Possiamo con certezza asserire che a Robbio, oppure in qualche altra parte del territorio lomellino verso Vercelli, Mario distrusse i Cimbri”. E addirittura che Mario si accampò nelle ampie pianure fra Vercelli e il Ticino ».

Anche uno storico vigevanese, Alessandro Colombo, si dice certo che sia stata l’area di Robbio al centro dello scontro del 101.

« Egli assicura che la città lomellina deriva da un antico accampamento romano “per la forma quadrata del suo antico abitato e per la regolarità delle sue vie”. Secondo la descrizione dei campi militari romani fissata da Polibio, Robbio presenta a nord la porta Pretoria, lungo l’attuale via Vespolate, a sud la porta Decumana, nota come porta di San Pietro, una terza porta, principalis sinistra, sulla via per Confienza, e una quarta, principalis dextera o di Santo Stefano. Le vie maggiori denominate cardo maximus e decumanus maximus, che rimandano al castrum romano, si sarebbero incrociate nel punto di mezzo, l’ombelicus, occupato dal castrum prætorium, l’attuale piazza della Libertà. I quattro quartieri derivati dall’incrocio perpendicolare delle due vie maggiori specificherebbero lo schema originario del campo romano: via Quintana, laterale all’ospedale, proseguirebbe con via dei Mille; via Cavigiolio, che sarebbe la via retrostante il pretorio e parallela alla Quintana e alla Principale, proseguirebbe verso piazza Marliano, mentre, oltre alle altre vie minori, sarebbero evidenziati anche i vari cardines minores.

Robbio
Il centro storico di Robbio

In generale, il campo romano era lungo 646,40 metri e le due porte, pretoria e decumana, erano poste alla metà esatta dei rispettivi lati e delle due principali di sinistra e di destra, e a un terzo dal lato del fronte. Secondo Colombo, le stesse proporzioni si riscontrano, seppure ridotte del 50%, a Robbio, centro lungo 312 metri e largo 296. La porta di San Pietro era aperta a metà del lato sud e quella di mezzo le distava 104 metri e 208 metri dal lato nord. Mario, dovendo costruire due castra, avrebbe allestito a Robbio quello più piccolo, 500 per 400 metri, come risulterebbe più o meno dalla misura dell’abitato originario, e lo avrebbe affidato a Càtulo. Colombo, concludendo che il toponimo Robbio rappresenta la continuazione etimologica, sia pure in forma leggermente deviata, di Raudovium-Rodovium-Robium, accerta che il campo minore di Mario sarebbe rimasto in vita anche dopo la battaglia per evolversi nell’oppidum che darà origine all’attuale borgata. Da ultimo, anche Colombo cita l’Arcus marianum, monumento votivo che doveva trovarsi nel luogo in cui più fiera e cruenta s’era accesa la battaglia.

Secondo Gardinali, infine, Mario avrebbe inglobato nel suo castrum un più antico tracciato gallico, rappresentato dalla via circolare che corre lungo le medioevali case del ricetto del castello. Non sono pochi, infatti, i villaggi gallici a forma circolare assorbiti in strutture fortificate romane ».

L’etimologia ha giocato un ruolo decisivo: Robbio deriverebbe da Campi Raudii, ma anche altre località sembrano vantare questo credito.

« La congettura che Robbio abbia derivato il nome dai Campi Raudii è stata avvalorata da storici insigni: dal Mèrula al Capsoni, dal Robolini al Colombo. Nei documenti più antichi Robbio è riportato come Radius, Raudium, Rodobium, Rotovium, Raudovium. Plinio il Vecchio, citato nell’Annuario del Pollini, inserisce Retovium, luogo in cui si sarebbero tessuti lini di prima qualità noti in tutta Europa, nella sua Naturalis historia. Addirittura lo storico di Garlasco sposta il teatro della battaglia più a sud, fra Robbio e Candia, sulla scorta della presunta località Campi Handii citata da Velleio Patercolo, Anneo Floro, Aurelio Vittore e altri. Il vigevanese don Colli fa risalire Robbio al toponimo Raude e ricorda sia l’Arcus marianum sia il paese novarese di Casalvolone, derivato dal latino volones, a identificare i soldati volontari che servivano nell’esercito senza averne l’obbligo. E poi accenna a un secondo toponimo, Campi Kaudii, in alternativa al più frequente Campi Raudii, ma senza spiegarne la motivazione.

Il sartiranese Moro, invece, non si dice convinto che l’aggettivo pliniano retovinus possa far riferimento a una città denominata Retovium. “Ammetto invece, in precedenza, una retovia, o terra sortumosa, facilmente impaludabile, che è stata dissodata, bonificata, come spiegano i componenti ret-, che va ricondotto al radicale reu, dissodare, rendere coltivabile, e -ovia, che in strettissima affinità con l’antico germanico ouw(j)a, terra sull’acqua o presso l’acqua, risale ad awjō”. Lo stesso nome raud, di origine celtica, significa fiume: in provincia di Cuneo ne è una testimonianza Roddi, toponimo con un evidente riferimento al Tanaro che scorre a valle del territorio. Il linguista di Sartirana Lomellina accoglie comunque l’ipotesi che Robbio possa essere derivato da retovia nella sua forma aggettivale Robodium: lo stesso componente -ovia si ritrova in Ottobiano, cioè terra boscosa.

Il robbiese Gardinali non usa mezze misure ridicolizzando i tentativi di utilizzare la radice rau- per giustificare la battaglia nei pressi delle località più disparate, come Borgo Vercelli: “Certo, sarebbe facile portar acqua a questo mulino senza poter macinare farina e inventare anche noi qualche altra località, specie se in qualche ufficio del catasto scopriamo in una mappa un po’ vecchia il nome antico di qualche terreno che porta radice letteraria di rau-rad-rod e lo facciamo ballare a nostro piacimento fino a portarlo a Raudio! Perché di campi incolti o “raudii” ce ne sono un po’ dappertutto, anche nelle zone più fertili, e costruirci sopra quella battaglia sarebbe oltremodo facile con un po’ di fantasia, oppure, come ci propone qualche altro studioso, localizzare il luogo con qualche parvenza storica, senza sbilanciarsi in tante altre spiegazioni e dichiararla zona di battaglie famose!”.

Una tesi “campanilistica” prevale nel vigevanese Biffignandi Buccella, secondo cui Mario si sarebbe portato a Vigevano ponendo l’accampamento nella villa di San Pietro, che sarà chiamato Campo dei Romani, ovvero l’attuale cascina Rometta. Lo stesso Biffignandi Buccella, sostenuto da Della Porta e da Sacchetti, segnala i cognomi di alcune fra le più antiche famiglie vigevanesi a inconfutabile riscontro della presenza dei Cimbri nel territorio della città ducale. Così i Decembri, cui apparterrà Pier Candido (1392-1477), segretario del duca Filippo Maria Visconti, i Badalla, i Laporta, i Bussi, i Colli, i Bastici e gli stessi Biffignandi vanterebbero origini cimbriche

A corollario, vale la pena menzionare l’etimologia del nome Zeme, che deriverebbe da Gemina castra, cioè doppio accampamento. Gli eserciti di Mario e di Càtulo si sarebbero accampati nel paese lomellino situato a circa quindici chilometri da Robbio. Lungo i secoli, il nome Gemina si sarebbe modificato in Zemida, da cui l’attuale Zeme, che, però, secondo altri deriverebbe da Geminae columnæ per via delle colonne miliari che si collocavano sulle vie romane. Anche nel Vercellese le interpretazioni si sprecano. Il toponimo Penango, così come tutti quelli che terminano in -engo, -ango e -ingo, è di evidente origine longobarda, ma nell’Ottocento si diffuse l’ipotesi che fosse di derivazione cimbrica, poiché i sopravvissuti della battaglia si sarebbero dispersi alla destra del Po, sui colli più alti del Monferrato ».

Pubblicato da Umberto De Agostino

Giornalista (quotidiano La Provincia pavese, settimanale Informatore lomellino e dodici periodici comunali) e direttore dell'Ecomuseo del paesaggio lomellino. Già autore per Fratelli Frilli Editori (Il brigante e la mondina, La contessa nera, Manzoni e la spia austriaca).

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